Il ricordo del grande scrittore francese Stendhal a 240 anni dalla sua nascita

Il ricordo del grande scrittore francese Stendhal a 240 anni dalla sua nascita

Scopri di più sulla vita e le opere


Il 23 gennaio ricorrono i 240 anni dalla nascita del grande scrittore Stendhal, considerato uno dei massimi esponenti della letteratura francese. Ripercorriamo la sua vita e riscopriamo le sue opere più importanti.

La vita di Stendhal


Il vero nome di Stendhal era Marie-Henri Beyle: nacque a Grenoble il 23 gennaio del 1783 in una famiglia borghese. Il giovane Henri sviluppò un grande interesse per la matematica, al punto che decise di fare domanda per essere ammesso all’École Polytechnique di Parigi. Proprio con questo intento, nel 1799 partì per la capitale, dove, però, le cose andarono diversamente. Il giovane perse interesse per la matematica e ottenne un posto da impiegato al Ministero della Guerra, per poi arruolarsi nell’esercito di Napoleone. Il 7 maggio del 1800 Stendhal lasciò così Parigi pieno di entusiasmo e diretto in Italia.

In seguito, Stendhal lasciò l’esercito e iniziò a seguire la sua vocazione per la letteratura: iniziò a studiare l’inglese e l’italiano, ad andare a teatro e a scrivere. Nel 1806, tornò nell’esercito a servizio di Napoleone: divenne commissario di guerra, ruolo che gli permise di viaggiare molto e anche di partecipare alle campagne napoleoniche in Germania, Austria e Russia. Nell’esercito fece una brillante carriera come funzionario; tuttavia, il suo successo finì ben presto con la caduta dell’Imperatore nel 1814. A quel punto si ritrovò isolato e con pochi soldi e iniziò a dedicarsi completamente alla letteratura. Si trasferì per alcuni anni a Milano, la sua città preferita, e continuò a coltivare la sua passione per la musica, il teatro e l’arte, frequentando anche numerose personalità dell’epoca. Tra amori infelici, aspirazioni letterarie, viaggi, incarichi di vario tipo e soggiorni a Parigi, Stendhal condusse una vita dedita all’arte e alla mondanità, fino alla sua morte avvenuta nel 1841.

La sindrome di Stendhal


Durante i suoi soggiorni in Italia, Stendhal ebbe l’opportunità di visitare i centri storici delle principali città, potendo così ammirare l’arte italiana, tra chiese, monumenti, pittura, scultura e rovine antiche. Vedendo da vicino queste opere la sua meraviglia fu enorme, così come la sua passione per l’arte, che aumentò sempre di più e lo portò anche a scrivere opere a essa dedicate, come “L’Histoire de la Peinture en Italie” e “Rome, Naples et Florence”.

Proprio in quest’ultimo libro, Stendhal raccontò di aver sperimentato un vero e proprio malessere di fronte alla magnificenza e alla bellezza dell’arte. Questa esperienza la visse a Firenze, di fronte alla Basilica: “Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti e i sentimenti appassionati – scrisse - uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere”.

Quella sensazione di malessere provata dallo scrittore fu in seguito definita, non a caso, “sindrome di Stendhal” e fu analizzata nel 1977 dalla psichiatra Graziella Magherini. In sostanza, questa sindrome consiste in un insieme di sensazioni di disagio generate da una forte esperienza emozionale vissuta da un individuo durante la visita a centri storico-artistici, musei od opere d’arte in genere. In realtà, non si tratta di una vera e propria malattia, ma di un disturbo psicosomatico transitorio che può essere caratterizzato da attacchi di panico e straniamento dal mondo esterno, come se la persona colpita da questa sindrome restasse in una sorta di estasi contemplativa di fronte alla bellezza dell’opera d’arte osservata.

Le opere di Stendhal


La formazione di Stendhal fu di tipo illuminista, con riferimento, in particolare, a Jean-Jacques Rousseau. Tuttavia, le sue opere furono di tutt’altra natura: Stendhal, infatti, è considerato uno dei massimi esponenti del realismo, insieme al suo contemporaneo Honoré de Balzac che fu, tra l’altro, l’unico ad apprezzarlo quando era ancora in vita. Stendhal, infatti, è uno di quegli autori che sono stati scoperti e apprezzati davvero solo a postumi.

Per le tematiche affrontate nelle sue opere, Stendhal rientra anche nella prima generazione romantica; in realtà, la sua scrittura è molto particolare e personale: nelle sue opere il realismo dell’osservazione oggettiva della realtà si fonde con l’analisi delle passioni umane e dei comportamenti sociali e con l’amore per l’arte e la musica.

La produzione di Stendhal è molto vasta e molte opere sono state pubblicate postume: come abbiamo visto, ha scritto di arte e di musica, ma anche di letteratura, ad esempio con le sue opere su Racine e Shakespeare; tuttavia, viene ricordato soprattutto per i suoi due grandi romanzi, “Il rosso e il nero” e “La Certosa di Parma”. Il motivo è semplice: per queste due opere, Stendhal è considerato tra i creatori del romanzo moderno, nella fattispecie del romanzo storico.

In questi due capolavori, lo scrittore riuscì a dipingere la realtà storica del suo tempo in modo crudo e realista, compreso l’ambiente morale e intellettuale della Francia, dalla Rivoluzione alla Restaurazione, periodo denso di avvenimenti, molti dei quali lui ha vissuto in prima persona. In questo contesto, però, è riuscito anche ad approfondire l’analisi psicologica dei personaggi, tipici eroi romantici, tormentati da ideali, ambizioni, passioni e inquietudini.

Il Rosso e il Nero


Pubblicato nel 1830, la storia si basa su un fatto di cronaca realmente avvenuto dal quale Stendhal prese ispirazione. Il protagonista è Jean Sorel, un giovane della provincia francese di modeste origini che, mosso da una profonda ambizione, inizia una lunga scalata sociale nella quale ha successo, grazie alla sua determinazione ma anche ai suoi inganni. Le sue passioni, però, lo porteranno alla fine alla morte: dopo aver sedotto una donna sposata, Madame de Rênal, la storia viene scoperta e così lui fugge in seminario; qui coltiva potenti amicizie, fino a diventare il segretario del Marchese de la Mole. A quel punto si innamora della figlia del nobile, Mathilde, e alla fine riesce anche a ottenere la possibilità di sposarla, insieme a un titolo e a una rendita. Ma il suo sogno di raggiungere una posizione sociale va in frantumi quando la storia con Madame de Rênal riemerge dal suo passato, portandolo a commettere un crimine per il quale viene poi condannato a morte.

I colori rosso e nero del titolo hanno valore simbolico: secondo alcuni critici, indicano gli interessi clericali (rosso) e quelli secolari (nero) del protagonista, ma anche la passione e la morte che sono tra i temi del romanzo, un’opera che descrive senza mezzi termini la struttura sociale della Francia prima della rivoluzione del 1830, mostrando le contrapposizioni tra Parigi e provincia, tra borghesia e nobiltà, in un quadro in cui tutti si muovono per ambizione, con ipocrisia e cinismo.

La certosa di Parma


Questo romanzo, pubblicato nel 1839, è ambientato in Italia e racconta la vita di un nobile italiano durante l’età napoleonica e la Restaurazione. È una storia molto articolata, ricca di personaggi e colpi di scena, con riferimenti ad avvenimenti storici ben precisi, come ad esempio la battaglia di Waterloo. Il protagonista è Fabrizio Del Dongo, nobiluomo figlio di una gentildonna milanese e di un soldato napoleonico. Mosso da ideali cavallereschi ispirati dalla storia dei suoi antenati, il giovane diventa un convinto sostenitore di Napoleone, al punto che decide di unirsi alla sua armata e di andare a combattere per lui, all’insaputa del padre che, insieme al primogenito Ascanio, è un conservatore filo-austriaco.

Dopo la disfatta di Waterloo, Fabrizio si ritrova solo e senza meta: raggiunge Parigi e qui viene a sapere di dover tornare a Milano, ma poi scopre anche che Ascanio lo ha denunciato con l’accusa di essere una spia napoleonica. Dopo tante peripezie, Fabrizio dovrà così fuggire fino a che la zia riuscirà a fargli ottenere l’impunità. Dopo altre avventure e raggiri, il giovane si ritroverà prigioniero e condannato a morte. Qui troverà l’amore in Clelia Conti, figlia del governatore del carcere, dalla quale avrà un figlio dopo essere riuscito a evadere. Il bimbo, però, morirà e la stessa sorte toccherà alla madre. A quel punto Fabrizio si ritirerà nella Certosa di Parma fino alla fine dei suoi giorni.

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